31/10/2006

Un po' di poesia
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Ho ricevuto questo commento da un lettore anonimo, pregandomi di pubblicarlo come post. E’ un articolo di un giornalista di cui non ricordo il nome, è antecedente alle nuove regole sul punteggio. L’ho trovato interessante e ve lo propongo. Buona lettura Improvvisamente certi sport dilagano, sospinti dal tornado di un campione o da niente: da un giorno all’altro in centomila li praticano, i giornali ne parlan, i negozi stravendono l’attrezzatura e a ondate acide il sudore scorre in quella direzione. Penso al tennis nell’epoca Panatta o al footing negli anno Ottanta. Al contrario altri sport declinano, prima impercettibilmente, poi a rotta di collo, fino a farsi riti catacombali, vizi privati, puro modernariato. E’ come se lo spirito del tempo li abbandonasse sdegnoso. Ad esempio, che fine ha fatto il ping pong? Dove marciscono ripiegati gli infiniti tavoli verdi su cui instancabile ticchettava la pallina, odiosa ai vicini di casa? In fondo a quanti armadi s’acctastano quelle racchette rosse e blu, sempre un po’ smangiucchiate sui bordi, con la gomma sempre un po’ scollata? Eppure per anni ogni giardino, ogni terrazza, ogni bisca che si rispettasse ospitava un tavolo, e i pomeriggi venivano scanditi dal ritmo pungente di quel metronomo. Inizialmente scuole di pensiero diverse si affrontavano con stili e colpi personali. C’era chi, tenendo la racchetta come un bastone, provava a scaricare sul campo avverso palline velocissime, nerborute, irribttibili; e c’era chi impugnava la racchetta alla cinese: e liftava, ammorbidiva, insinuava maligno e tagliente. C’era chi aveva la vocazione del bombardiere impetuoso e chi quella del pallettaro paziente. Lo Ying e lo Yang erano nel ping e nel pong. L’Oriente si affacciava da noi più con quel gioco che con il Tao-te-ching e il Mahabarata, e ci insegnava, partita dopo partita, sconfitta dopo sconfitta, a rimodellare il nostro gioco su quello dell’avversario, a usare a nostro favore anche la forza e l’astuzia nemica. L’importante era restare concentrati, in elastica sintonia con i rimbalzi della pallina, agili sulle gambe e nella mente. Nessuna strategia funziona a priori e per sempre nel ping pong. Un bravo attaccante o un bravo difensore, se pietrificati nelle loro scelte, hanno già perso. Bisogna essere come l’acqua, che prende la forma del recipiente e una forma sua non ce l’ha. E bisogna saper mantenere la calma, quando l’avversario spizza per tre colpi di fila i bordi del tavolo e con un sorrisetto chiede scusa. Ho visto gente picchiarsi la racchetta sulla testa, tremare di rabbia, e perdere in un battibaleno. Ma è soprattutto sul dicciannove pari che si impara tanto, di sé e degli altri. Due punti dalla vittoria e due punti dalla sconfitta: gli stessi due punti. In quel momento si capisce se, nel profondo, si desidera vincere o perdere, intorno a quale sentimento segreto la propria vita si genera. Non è nella volontà il centro del proprio equilibrio, ma in una nicchia tra l’inguine e l’ombelico. C’è chi non regge la tensione e vuole solo che la partita finisca in fretta: schiaccia in rete due palline impossibili per togliersi quel crampo dalla pancia. Perdere è una liberazione, e sarà sempre così. E c’è invece chi è sicuro che vincerà anche se l’avversario è più bravo, perchè ciò che vale in quegli attimi è una sorta di pace imperturbata, di una morbida determinazione, e lui ce l’ha, gli respira dentro come un gatto flesuoso. Quante cose ho appreso saltellando attorno a un ping pong. Ho capito che i gesti devono essere brevi e decisi, figli dell’attimo e non del progetto, e che sei sempre in gioco, anche quando la pallina è per terra. Ho capito che bisogna respirare intensamente e fare l’opposto di ciò che l’avversario si aspetta: la sua attesa e il nostro gesto compongono uno stupore. Però bisogna ricordarsi che a volte l’opposto è una palla ovvia, apparentemente prevedibile. A volte è perdere il punto. Insomma: un bel gioco il ping pong, un bel viaggio, e per questo mi dispiace vederlo accantonato. Spalancate i vostri tavoli verdi amici, tendete bene la rete, comprate nuove racchette e un tubo di palline del peso giusto, nè quelle che soffrono il vento nè quelle rigide pazze, e giocate, giocate fino a quando non vi tirano l’acqua dal piano di sopra. Emanuele preso da www.pingpongitalia.com