10/11/2021

Genio e sregolatezza (C2: Silver Lining-Fearless Eagles 2-5)
ci sono 0 commenti ci sono state 188 letture

Genio e Sregolatezza

 

Capitolo 1 – La locomotiva umana

Helsinki, Domenica 27 Luglio 1952, ore 15:00. La tiepida estate finlandese è al suo Zenit, la carriera di uno dei più grandi atleti di sempre sta per toccare il suo apice, mai più raggiunto, mai più neppure tentato, da nessuno.

49 vittorie consecutive e 8 primati del mondo negli ultimi 4 anni. E’ così che Emil Zatopek si appresta a disegnare la “settimana perfetta” con una sequenza di vittorie che mai nessuna oserà eguagliare: il 20 Luglio vince i 10.000 metri con accelerazioni che annientano via via gli avversari (il secondo gli rende 16 secondi), quattro giorni più tardi  - mentre la moglie vince la medaglia d’oro nel giavellotto…- regala il bis nei 5.000, e dopo 72 ore si presenta ai nastri di partenza della madre di tutte le gare: la sua prima maratona.

Il ritmo, dettato dagli specialisti Jim Peters e Stan Cox  - entrambi figli d’Albione -, è incredibilmente veloce, da record del mondo, pensato proprio per stroncare Zatopek che, però, al 15km li affianca.

Con istrionica sapienza e con la sua classica andatura, mentre sbuffa con la testa ciondolante (da cui il soprannome di “locomotiva umana”), la leggenda vuole che il neofita maratoneta chieda a Peters “Non stiamo andando troppo forte?” ottenendo l’anglosassone risposta “No, semmai siamo troppo lenti”.

Così, al 30° KM, gli Inglesi sopraffatti dai crampi si ritirano e Zatopek si invola solitario per diventare Campione Olimpico con record del mondo annesso.

Francesco di maratone ne ha vinte tante, non sulla strada, sicuramente nella vita, certamente nel rettangolo delle palestre che delimitano l’area di gioco del ping pong. Far giocare Francesco con il suo ritmo, con il suo tocco di palla, con la sua velocità di pensiero è come mettersi dietro Zatopek e tentare di correre come lui. Lo stato di incoscienza degli avversari dopo il primo set è simile ai crampi di Peters nell’estate Finlandese del ’52.

Non c’è storia nelle partite, la gloria è sua, gli avversari sono comprimari alla ricerca di un appiglio, un set vinto quasi come una nuvola che oscura il sole per un attimo. E’ vero, lo tengono in piedi i nervi e la classe cristallina, ma come Zatopek decide di non riposare mai. Altrimenti, che gusto ci sarebbe….

 

Capitolo 2 – Il Genio

“Devi correre, devi correre!”. Voce sprecata. Non correva mai a comando, decideva lui quando, come, dove.

Ma quando lo faceva…non lo prendevano mai. Gli schemi li provava ma…. preferiva inventare, a volte rimanere a guardare, quasi a voler far credere che non era quel campione che tutti pensavano.

Li illudeva, poi decideva come irriderli.

Poi arrivò il suo momento, la consacrazione definitiva, la notte in cui gli Dei caddero nella terra degli Dei e, insieme a loro, il profeta del calcio totale.

Atene, 18 Maggio 1994. Un contrasto vinto, un occhio alla porta, un pallonetto beffardo, un goal indimenticabile, il suo nome scolpito per sempre nella mente dei tifosi e non solo: Dejan Savicevic.

Alessandro gioca quando decide di farlo, ma quando lo fa…. i suoi colpi sono come il pallonetto del fenomeno montenegrino. Domenica lo fa per due volte: nella prima partita deve essere provocato per infilare una serie impressionante di colpi imprendibili e nella seconda decide di iniziare a tirare per annullare 6 match point all’avversario che stava per fare il colpo della vita.

E’ così. Ha bisogno di stimoli. Sappiamo tutti che arriveranno, nel frattempo deve pazientare e sopportare il peso e la solitudine dei numeri 1.

 

 

Capitolo 3 – La grande “Jugo”

Umirati u lepoti - morire nella bellezza.

Stiamo parlando di sport, d’accordo, ma il sentimento estetico c’è ed è pervasivo: lo dicevano soprattutto gli appassionati di calcio – che al contrario di quello che il ruvido Est Europa può suggerire – ad un gioco duro e concreto preferivano di gran lunga lo spettacolo. Il solo istante di illuminazione, incredulità, meraviglia che il gesto tecnico può concedere ripaga lo spirito di ogni bisogno della mente razionale.

Pochi sanno che il più grande calciatore di tutti i tempi insieme al compianto Diego, ovvero Pelé, decise di giocare la sua partita di addio contro la Jugoslavia perché riteneva gli slavi forti almeno quanto i suoi compagni brasiliani.

In effetti, se chiedete ad un vecchio tifoso di Belgrado o Zagabria, la gente non andava allo stadio per veder vincere la propria squadra ma per vedere delle giocate spettacolari, per appassionarsi alla partita. Il vincitore era quasi un dettaglio.

Ed è stato sempre così. Si sono succedute generazioni di campioni senza che il loro nome fosse mai scritto come ultimo trionfatore di una competizione (unica eccezione la Stella Rossa nel 1991, vincitrice della Coppa dei Campioni) ma scolpite nella memoria per le loro giocate fantastiche, irripetibili.

Alla fine c’era sempre un coriaceo difensore italico o tedesco che, palla a terra e senza troppi fronzoli, li fermava prima dell’ultima stazione, ricordando loro che “partecipare è importante e bello” però, nello sport, si scrivono i nomi di chi vince.

Ricordo perfettamente l’epifania calcistica di quel grande gruppo: era il 30 Giugno 1990, a Firenze, l’orologio segnava le 19:30 c.ca quando Faruk Hadžibegić sbagliava il suo calcio di rigore che consentiva ad un’abulica Argentina di volare in semifinale (ahimé contro l’Italia…) e metteva la parola fine ad una squadra di campioni: Stojković, Prosinečki, Boksic, Savicevic, Suker…

Claudio e Vincenzo fanno stropicciare gli occhi. Il rovescio di Claudio e il dritto lungolinea del pelide Calabro sono da manuale: quasi imprendibili, eseguiti con naturalezza inspiegabile, altra categoria.

Eppure, alla fine, come per la grande Jugo, vince chi è più concreto, chi mette la palla in campo più volte dell’altro, chi è più costante. A volte basta poco.

I nostri si rifaranno, non ci sono dubbi: continueranno a specchiarsi nell’affascinante splendore dei loro colpi, cercheranno il gesto tecnico perfetto, si abbandoneranno all’introspezione dell’anima, alla ricerca dell’assoluto e urleranno ad ogni punto come fosse quello della vita ma……sotto la guida dei loro più concreti compagni, sapranno portare a casa il risultato.

Disclaimer

Non togliamo nulla agli avversari, sono stati molto corretti e ci hanno reso la vita difficile.

Paragonarci a dei mostri sacri dello sport non è superbia ma leggerezza nell’accettare le sconfitte senza lusingarci delle vittorie ricordando a noi stessi che il tennistavolo ci regala momenti (a volte intere giornate) di cui abbiamo bisogno ma non è ciò per cui viviamo.  

Noi siamo le Fearless Eagles, giochiamo senza paura e dovevamo prenderci una rivincita dopo le sfortunate prestazioni della scorsa stagione: così è stato.

Vincenzo